A differenza di altri siti nei quali il pittore mette a disposizione solo uno o due metodi lavorativi, qui potrete trovare un’ampia scelta di tecniche, da quelle più conosciute (come la pittura ad olio) ad altre altrettanto affascinanti seppur meno comuni (come la sanguigna ed il carboncino).
Al fine di aiutarvi a scegliere e personalizzare al meglio il vostro dipinto, vi riportiamo di seguito una breve descrizione dei metodi pittorici utilizzati dall’artista:
La pittura ad olio, conosciuta già nell’antichità (viene citata da Teofilo nel suo trattato risalente al 1100), conobbe un suo primo, grande momento di gloria con la pittura fiamminga. Approdò in Italia intorno al XV secolo dove, in breve tempo, grazie alla sua incredibile praticità, e all’utilizzo di supporti più leggeri e versatili come le tele, andò a sostituire tecniche più complicate e scomode come la pittura con tempere ad acqua o quella nella quale i pigmenti utilizzavano come leganti l’uovo o materiali collosi solubili in acqua.
La pittura ad olio permette un’infinita varietà di esiti: con i colori particolarmente trasparenti e diluiti, ad esempio, si può lavorare a velature ed arrivare a descrivere anche i particolari più minuscoli. Si possono anche creare impasti di colore più densi e corposi da lavorare con la spatola o con pennellate più decise e piene. A differenza della pittura con tempere all’acqua, la pittura ad olio è caratterizzata da un’incredibile luminosità e brillantezza dei colori; il lento essiccamento del film pittorico, inoltre, permette una facile ripresa e correzione di eventuali ripensamenti o cambiamenti nell’organizzazione della tela.
Nota anche come pittura a secco, è una delle tecniche più antiche (basti pensare alle pitture rupestri della preistoria). È detta “a secco” in quanto, a differenza dell’affresco dove il supporto consiste in un intonaco ancora umido, con questa tecnica i dipinti vengono realizzati su supporti asciutti (muri, tavole, tele, carta e quant’altro).
Nell’antichità i colori venivano preparati utilizzando pigmenti in polvere realizzati con i materiali più diversi (ocre, carbone di legna, terre, lapislazzuli, malachite, bianco di piombo, ecc.), ed impastati con leganti quali l’uovo, la colla d’amido o animale, la cera, il latte di fico e il caseato di calcio. Oggi li troviamo in pratici tubetti che si possono acquistare anche nei supermercati.
Questo tipo di pittura ha l’inconveniente di dover essere realizzata in breve tempo in quanto i colori tendono ad asciugare immediatamente; di conseguenza la realizzazione di un dipinto a tempera non permette grandi ripensamenti durante l’esecuzione. La mano deve essere ferma, il tratto deciso e le idee di quel che si vuol realizzare, ben chiare in testa.
I colori ad acqua, inoltre, tendono a schiarire e ad opacizzarsi mano a mano che asciugano e non donano la vivacità tipica dei dipinti ad olio. D’altra parte, utilizzando tempere acriliche, si possono ottenere colori molto più brillanti.
Esistono, inoltre, prodotti di finitura da poter stendere sul dipinto terminato in modo da proteggerlo e rendere i colori più vividi.
La tecnica dell’acquerello è nota fin dall’antico Egitto, ma trovò il suo massimo fulgore solo nei secoli XVIII e XIX. I pigmenti colorati, derivati da una macinazione finissima, vengono mescolati all’acqua, gomma arabica e glicerina per essere stesi su supporti di carta o pergamena. Spesso questa tecnica veniva adoperata per dare colore a disegni eseguiti con altre tecniche e trovò grande utilizzo nei disegni preparatori di opere maggiori, ma anche nelle illustrazioni botaniche e zoologiche.
Vista la grande difficoltà di correzione degli errori, l’acquerello necessita esperienza e progettazione del lavoro. Occorre, inoltre una buona conoscenza dei materiali utilizzati: dalla carta, che può essere più o meno spessa, colorata o bianca, bagnata o asciutta, ai pennelli che, a seconda dell’utilizzo, donano effetti completamente diversi tra loro: dalla macchia di colore alla sagoma ben delineata.
I risultati che si possono ottenere, dunque, sono svariati, ma tutti caratterizzati da un’incredibile leggerezza e freschezza delle opere.
Le matite sono paragonabili al lapis comune ma differenziano da quest’ultimo per la mina colorata presente al loro interno. Questa tecnica è caratterizzata dalla mobilità del tratto, dalla freschezza e dalla forza del colore. Sono uno strumento piuttosto semplice da usare ed hanno il pregio di dare l’idea del disegno finito solo con pochi tratti. Utilizzando una carta liscia è possibile ottenere un disegno particolareggiato e dai tratti nitidi; con una carta ruvida, invece, si ottiene un effetto più granuloso. Se il tratto non è eccessivamente marcato, inoltre è possibile cancellare con facilità gli errori eventuali o i ripensamenti.
La tecnica a matite acquarellabili è la perfetta fusione tra i due metodi descritti sopra. Con questo mezzo, infatti, è possibile lavorare come con le matite normali o sfumare il colore con un pennello bagnato ottenendo risultati del tutto simili a quelli dati dall’acquerello. Da notare, inoltre, come il colore delle matite acquarellabili sia enormemente più brillante di quello delle comuni matite.
È possibile anche usare le matite acquarellabili in entrambi i modi donando così al disegno una ricchezza di particolari, effetti e velature di colore ottenibili solo con questa tecnica.
L’uso della penna e dell’ inchiostro, si diffonde già in epoca classica. Inizialmente le penne erano realizzate da bastoncini di canna appuntiti; a partire dal Medioevo si cominciò ad utilizzare le piume delle ali delle oche che permettevano maggiore morbidezza ed elasticità nel segno. Oggi, oltre alle penne a china, utilizzate soprattutto per disegni tecnici che richiedono estrema precisione, si adopera anche il pennino con punta metallica, più adatto alla scrittura ed al disegno artistico. Gli effetti ottenibili con questa tecnica sono svariati; i passaggi tonali in un disegno possono essere resi infittendo più o meno dei tratti paralleli tra loro o incrociandoli fino ad ottenere la gradazione desiderata; si può anche, con molta pazienza, ottenere delle bellissime sfumature tra chiari e scuri, riempiendo le aree interessate con puntini dati con la sola punta del pennino: nelle parti in cui il disegno è più scuro, i punti saranno più fitti ed arriveranno quasi a sovrapporsi dove il disegno arriva al nero; saranno invece più radi mano a mano che la luminosità aumenta. Si può, infine, sfumare i tratti appena stesi con un pennello bagnato ed aggiungere delle velature di inchiostro molto diluito ottenendo così delle variazioni tonali simili a quelle dell’acquerello. Questo tipo di disegno non consente cancellazioni e per sfruttare a pieno tutte le sue caratteristiche è necessaria una grande abilità.
Queste tre tecniche, per certi aspetti, sono simili tra loro in quanto i materiali utilizzati in ognuna di esse sono molto friabili e tendono a lasciare una traccia polverosa al loro passaggio che può essere sfumata con un pennello morbido o con una speciale matita di carta detta, per l’appunto, “sfumino”. Per questo stesso motivo è possibile creare opere sia usando singolarmente ognuna di queste tecniche, sia unendole tra loro.
Il carboncino è il materiale più antico che esista e veniva già usato nella preistoria. Si tratta di piccoli rametti (solitamente di salice) bruciati con un particolare procedimento ben descritto dal Cennini nel suo Libro dell’arte del 1437. Il suo impiego è piuttosto semplice e si adatta ad ogni categoria di disegno. La sua caratteristica è un segno particolarmente scorrevole, morbido e pittorico, nonché piuttosto facile da cancellare. I suoi unici inconvenienti sono la tendenza, proprio per la sua friabilità, a sporcare il foglio lasciando aloni nerastri, e il rischio di perdita dei tratti con l’andare del tempo. Per quest’ultimo motivo esistono dei prodotti specifici che permettono di fissare il disegno a carboncino senza alterarne le qualità e gli effetti.
La sanguigna è un tipo di matita color rosso mattone ottenuta da un tipo di argilla detta “ematite”. È in uso fin dai tempi di Leonardo che fu tra i primi a farne un uso sistematico.
Come il carboncino, anche l’argilla tende a spolverare e necessita, quindi, di un fissaggio finale. Può essere usata da sola, creando disegni delicati, morbidi e caldi, o con il carboncino o la matita nera per accentuare i chiaroscuri ed i contrasti mantenendo comunque il tono caldo che la contraddistingue anche nelle parti più scure. Può essere anche sfumata con un pennello bagnato creando così effetti simili all’acquerello.
I pastelli a creta sono matite la cui mina è costituita, per l’appunto da crete macinate e mescolate con leganti ed un’alta percentuale di pigmento. Ne esistono, dunque, di svariati colori e permettono la realizzazione di disegni a colori molto morbidi e delicati. Possono essere sfumati con pennelli asciutti o umidi. Uniti ad un disegno a carboncino o a sanguigna, lo arricchiscono creando effetti di colore assai gradevoli e vellutati.
Sia per il carboncino che per la sanguigna o le crete, si possono trovare mine più o meno morbide; di conseguenza il tratto può variare da molto fine, netto e descrittivo, a più ampio ed immediato.
L’uso del lapis si afferma a partire dal tardo Quattrocento, ma solo nell’Ottocento lo strumento assume la forma che tutti noi conosciamo, ossia un’anima di grafite racchiusa in un corpo di legno. Grazie alla precisione che è possibile ottenere nel tratto e grazie alla facile cancellabilità di eventuali errori, si presta perfettamente sia per disegni di architetture che per i ritratti. L’utilizzo di lapis di diversa morbidezza, inoltre, può conferire al disegno una vasta gamma di chiaroscuri che donano profondità e fascino all’opera. È spesso utilizzato anche per schizzi veloci realizzati sul momento per immortalare un soggetto en plein-air donando un’immediatezza al tratto simile, per certi aspetti, solo al carboncino. Grazie a tutte queste qualità e agli innumerevoli segni che è possibile ottenere dando una diversa pressione alla mina, il lapis permette di ottenere risultati di qualsiasi tipo.